Forse in un blog che parla di educazione sembra strano imbattersi in un articolo con questo titolo, ma essere madre, o meglio essere genitori, implica essere educatori. Partire da una riflessione sulle figure genitoriali, sulla solitudine che vivono oggi, soprattutto nei primi anni, potrebbe darci spunti per capire la difficoltà che attraversa l’educazione in generale.
L’esperienza personale mi è stata di grande aiuto e da qui voglio partire. Guardando indietro a quando mi stavo per diventare mamma, mi viene da sorridere ricordando la mia ingenuità nel prepararmi ad affrontare l’arrivo di Zoe. Non parlo solo dell’imminente post-parto, di pappe e pannolini, ma più in generale del diventare genitore e relazionarmi con un altro essere vivente.
Prepararsi all’arrivo di un figlio
La mia formazione professionale e l’esplorare varie pedagogie alternative mi portava ad affermare con convinzione “… che sì, io farò così con mia figlia!” Niente Tv, cellulare neanche a nominarlo, solo ciò che fa bene alla sua crescita: pochi rumori, ritmi assecondati, routine. E nel fare questo guardavo con occhio critico e un po’ saccente a chi invece, secondo me in modo egoistico, non si faceva tutte queste domande ed esponeva il povero pargolo alle più svariate condizioni per sua necessità.
Poi è arrivato il fatidico momento in cui sono diventata mamma. La mia piccola Super Zoe da subito mi ha fatto capire che in tutte le mie belle riflessioni mi ero dimenticata di interpellarla e che forse prima di decidere per lei, avrei dovuto almeno chiederle se era d’accordo.
Il mio ritmo quotidiano è stato letteralmente stravolto e la mia figura e le sue esigenze messe in un angolino. Mi sentivo dimenticata, insignificante, invisibile al mondo. In una parola sola!
Il tempo per sé svanisce
All’inizio si trattava di trovare il tempo per riposare, farsi una doccia o semplicemente cucinare qualcosa da mettere sotto i denti, poi ho cominciato a desiderare del tempo tutto mio per leggere, anche solo una rivista, oppure per incontrare i miei amici e conversare in santa pace senza dover tenere sotto controllo il mondo intero (ossia ritmi sonno-veglia, biberon, svezzamenti, passeggiate). E pensare che ho sempre sostenuto che i nonni non sono fatti per accudire i nipoti a tempo pieno e i figli sono di chi li ha fatti. Quanto avrei desiderato invece avere la disponibilità di giovani e scattati nonni per riprendermi almeno un angolino della mia vita precedente.
Si può fare da soli?
La solitudine e la grande forza e unicità che porta con se un nuovo essere vivente mi hanno fatto capire come per affrontare questa avventura, quella di generare un’altra persona, sia necessario condividere. Il compito è troppo arduo per essere affrontato da solo e il dialogo e le relazioni con il nostro piccolo grande mondo sono necessarie.
La nostra società in questo non ci aiuta, individualista e amante dello stare soli anche in gruppo, crea un forte senso di vuoto e di impotenza che porta a rifugiarsi nel comodo senza farsi troppe domande.
Quando mi ritrovo con altre mamme, la stragrande maggioranza di esse mi dice di aver sofferto del mio medesimo senso di solitudine. Quel malessere che a volte non ti permette di gioire del tuo essere madre perché ti senti indifesa e incapace ad andare avanti, mentre con un piccolo sostegno, anche solo una parola, tutto potrebbe essere sistemato. Parlare per capire che forse non stai sbagliando, altri si trovano nella tua stessa situazione, oppure semplicemente perché quello che stai facendo non è sbagliato a priori, ma per tuo figlio non va bene.
Domande a cui dare una risposta
È la società dei centri commerciali come punti di ritrovo, del lavoro full time mal pagato, della pensione che non vedrai mai, dei figli verso i quarant’anni a creare questo malessere oppure è un malessere insito nel grande cambiamento che l’arrivo di un figlio produce?
Cosa è possibile fare per alleviarlo? È questa mancanza di relazioni e di scambi che porta i genitori a trincerarsi dietro le loro certezze negli anni successivi? E questa solitudine poi è quella che sentono anche i nostri figli e li porta a nascondersi e rifugiarsi nel mondo virtuale?
Sarebbe interessante trovare delle risposte.