Per un anno non insegno più, imparo
Sono arrivata a questo mestiere quasi per caso e molto impreparata, ma soprattutto con molti pregiudizi. In testa avevo senz’altro il modello di insegnamento che io avevo vissuto come studentessa: cattedra di fronte a banchi e libro aperto a declamare.
Poi poco alla volta mi sono ricreduta. Nelle difficoltà che incontravo, di gestione della disciplina e della motivazione, prevalentemente, rispondevo con il pugno duro, grosso dispendio di energie e conseguente pensiero che questo mestiere non fosse fatto per me.
Considerazione sociale e motivazione professionale
La considerazione sociale di cui gode l’insegnante oggi non mi aiutava, anzi. Generava dei sensi di colpa perché mi sentivo impotente e manchevole nel gestire indisciplina e mancanza di interesse. Senz’altro era colpa mia; “Sei troppo buona” mi ha detto una volta una collega. Sono sempre stata una persona mite, quindi crederci non è stato poi così faticoso.
La mia motivazione oscillava dalle stelle alle stalle a seconda dell’ambiente in cui mi trovavo a vivere questa esperienza: una classe interessata e dei colleghi attenti ed espansivi, oppure alunni disagiati e colleghi menefreghisti.
Un giorno per caso, grazie alla mia amica Alessandra che aveva da poco avuto una figlia e ora doveva iscriverla alla scuola materna, incontrai Maria Montessori. E questa fu la mia prima grande rivoluzione.
Mentre leggevo e ascoltavo il suo pensiero cominciai a capire la motivazione delle problematiche che mi ritrovavo a gestire in classe. Ma il mio senso di inadeguatezza non diminuiva; anzi, aumentava esponenzialmente ogni qualvolta sbattevo letteralmente contro l’impossibilità nel realizzare quello che stavo leggendo. Mettere in pratica quei principi era quasi impossibile.
Il problema è che non è una questione di metodo o di libertà didattica. E’ una questione più strutturale.
Quanto conta la bellezza di un’aula?
Prendiamo un’aula scolastica, anzi prendiamo un edificio scolastico. Quanti di questi sono esteticamente curati per creare benessere a chi li vive? Già è tanto se sono a norma antisismica e, al giorno d’oggi se i bagni sono dotati di carta igienica, figuriamoci se andiamo a guardare l’estetica. Eppure nelle nostre case o per la nostra persona facciamo attenzione a questi piccoli dettagli. Ma nei luoghi in cui i nostri figli trascorrono la maggior parte del loro tempo non è necessario.
L’abito fa davvero il monaco?Ovvero l’ambiente può realmente risolvere l’atteggiamento distruttivo e, talvolta, il disinteresse o meglio la mancanza di attenzione di molti bambini? O l’ambiente da ristrutturare è quello mentale e relazionale della famiglia? Quanto Il contesto attuale e le relazioni sociali si scostano da ciò che aveva Montessori e perciò quanto il Metodo “puro” in sè può aiutare gli insegnanti ad essere “bravi” insegnanti? Riuscendo a sostenere il bambino o ragazzo nelle sue scelte, senza imposizioni e creando interesse ed interessi?
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Cara Michela,
quante questioni importanti nelle tue domande! Senz’altro l’ambiente famigliare necessiterebbe di qualche “ritocco” diciamo così e sicuramente non basta l’abito per fare il monaco, ma è pur sempre vero che con certi abiti ci sentiamo più a nostro agio che con altri.
Sono anche convinta dell’attualità del pensiero di Maria Montessori, le indicazioni Nazionali per il Curricolo sono pieni di riferimenti montessoriani. Lavorare per competenze o sostenere la didattica personalizzata sono due concetti montessoriani puri.
Posso anche dirti che questa non è l’unica strada possibile, ma può dare ottimi spunti e strumenti, che sono anche scientificamente provati. Più di così!
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