L’importanza del fare per apprendere

In questi ultimi tempi ce lo hanno ripetuto in tutte le salse quanto sia importante fare esperienze concrete per sviluppare apprendimenti significativi. “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” (Confucio) è diventato il mantra delle slide dei corsi per l’apprendimento e a forza di sentirlo ripetere ci siamo convinti che è proprio così.

Eppure nelle nostre scuole, di ogni ordine e grado, ancora si ascolta molto e per imparare a stare al passo con il mondo che cambia decidiamo che ancora questa è la via più veloce. Salvo poi imbatterci in molteplici problemi di gestione degli apprendimenti che dobbiamo certificare e incasellare per essere in grado di gestire, in una classe delle svariate personalità e dalle intelligenza multiple.

Parto da un osservazione personale

Mi capita spesso di notare grandi progressi nella mia Super Zoe al rientro da viaggi o esperienze che ci portano lontano da casa, dal conosciuto, e ci pongono in relazione con persone e amici dalle più diverse personalità e abitudini. Ogni viaggio è una nuova conquista accompagnata da entusiasmo ed orgoglio nell’essere riusciti ad andare oltre. Un rendere la vita più facile e piacevole.

Non è apprendere perché io verbalizzo qualcosa e lei ascolta, ma è apprendere perché immersi in un ambiente ricco di novità stimolanti. Non è solo apprendere conoscenze, ma anche comportamenti, modi di porsi, strategie. E ogni apprendimento è anche una crescita, fisica, un cambiare anche nel corpo. Certo per un bambino di due anni è naturale conoscere per esplorazione, osservando l’altro e facendo esperienze. Ma forse non è generalizzabile per ogni fascia d’età?

Ogni viaggio una conquista

Quando Zoe ha compiuto diciotto mesi abbiamo avuto l’opportunità di fare un viaggio in Spagna, dove siamo stati ospiti per una settimana a casa di amici. Qui è stata immersa in un ambiente dove ha potuto sentire parlare più lingue, con diverse proprietà di linguaggio e lessico. Ha vissuto situazioni molto diverse da quelle che erano state le sue abitudine fino ad allora: da una piccola cittadina di provincia a una metropoli europea. Per alcuni giorni le sue abitudine sono state scombussolate. Al rientro a casa ho osservato una letterale esplosione del linguaggio. Zoe apprendeva con facilità molte parole e le riproduceva con l’intento di comunicare con gli altri.

Quest’estate siamo stati alcuni giorni al mare, condividendo l’appartamento e la vita quotidiana con una famiglia di amici che aveva due figli, uno di un anno circa e uno di cinque. Questa volta ad arricchirsi e a svilupparsi sono state le capacità di relazionarsi con gli altri, soprattutto con i pari. Da ultimo un weekend a casa di amici ad Arezzo raggiunti con il treno, dove tante sono state le conquiste e soprattutto la gioia nel realizzarle che ho sentito la necessità di scrivere questo articolo.

Se potessi sintetizzarle con poche parole sceglierei relazionarsi con gli adulti e saper controllare le proprie esigenze primarie. Cercare e scegliere figure diverse dai propri genitori per poter condividere un piacere, come quello della lettura, oppure un gioco, è per un bambino di due anni una grande conquista. E mi piace pensare che non sia un caso che proprio in questa occasione abbia imparato ad avvisare per andare al bagno. Oppure abbia imparato a controllare e gestire la sua stanchezza, sorprendendo anche noi genitori che eravamo pronti a far fronte a capricci o iperattività da sfinimento al ristorante.

La didattica del fare

Se l’adolescenza è una seconda nascita, come diceva la Montessori e come sostengono oggi le neuroscienze, dove il ragazzo ha bisogno soprattutto di riposo e di cibo, ma ha anche molta energia da utilizzare, è creativo nel senso che da forma ad altro, e si riconosce nel gruppo e nelle relazioni sociali, quanti progressi otterremmo portando i nostri alunni a fare esperienze in ambienti reali?

Oltre a rispondere ai vari tipi di intelligenze e a sviluppare competenze diversificate, potremo lavorare su autostima e benessere. E non parlo solamente di visite di istruzione che spesso vedono i nostri alunni annoiati e chiacchieroni in musei distanti dai loro interessi, ma anche e soprattutto di gite. Ma la parola è stata abolita dalla burocrazia scolastica, dava troppo l’idea di divertimento. Perché c’è ancora qualcuno che pensa che per imparare non bisogna divertirsi.

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