Duro mestiere quello dell’insegnante: il prestigio e il riconoscimento sociale sono oramai andati persi da un bel po’ e in più ora ci chiedono anche di scomparire in classe. È un po’ come il testo di Morire, storica canzone anni ’80 cantata dal gruppo punk dei CCCP. Tu devi scomparire anche se non ne hai voglia / e puoi contare solo su di te, cantavano Ferretti e compagni, parlando della società del consumo in pieno boom economico.
Versi così pregni di significato da poterli riutilizzare e rileggere in varie epoche e situazioni. E ora tocca all’insegnate scomparire anche se non ne ha voglia, in questa società in cui se non appari non esisti e per essere visto devi inventarti l’impossibile. È questo che fa la differenza: il sapersi presentare agli altri, attirare l’attenzione, con ogni mezzo. Ma forse anche lo scomparire implica una presenza.
Il mestiere più importante
Da anni il mestiere dell’insegnante non è più considerato un mestiere prestigioso e socialmente ambito, forse perché malpagato o forse, credo, ancor di più perché non ben qualificato, definito, decodificato. Infatti cosa chiedere di più e di meglio ad un lavoro se non quello di aiutare a crescere le generazioni future?
Ma, anche tralasciando la questione economica, quali sono gli strumenti concreti che vengono forniti ai futuri docenti per poter amare il proprio lavoro?
Molto spesso capita di entrare in classe senza un minimo di preparazione, non intendo contenutistica, perché se dio vuole questa è una delle qualità che ai nostri docenti non manca proprio. Preparati e amanti della propria disciplina. Ma quanto siamo consapevoli delle esigenze dei nostri allievi? Quanto ne sappiamo di pedagogia e didattica? Parlo soprattutto di quella delicata fascia d’età che è l’adolescenza dove, nel corso degli anni, si sono susseguiti i più disparati metodi di reclutamento.
Tra il dire e il fare …
E allora forse per avere un po’ di visibilità ci mettono al centro dell’aula e ci fanno sedere in un banco speciale, più grande e diverso da tutti gli altri. Lontano dai nostri alunni, laggiù, laggiù alle spalle della lavagna. Che per farci sentire dobbiamo urlare perché altrimenti quelli dell’ultimo banco non ci sentono. Ma non urlare non è una delle fondamentali regole del nostro gruppo classe?!???!!
Poi ci chiedono di abbandonare i contenuti e pensare alle competenze, applicare una didattica personalizzata, che risponda alle esigenze diversificate di ogni singolo alunno. E noi siamo sempre fermi al centro a impartire regole e nozioni, a riversare il nostro sapere acquisito con fatica in anni di studi e rinunce. Perché c’è ancora chi pensa che imparare divertendosi sia un’eresia.
Basterebbe spostare un po’ più in là quella cattedra così ingombrante, affiancarla al muro o eliminarla del tutto. Scendere dal piedistallo e cominciare a girare tra i banchi. Osservare, ascoltare da vicino, proporre e raccordare. E allora già la regola del non urlare non servirebbe più e la didattica personalizzata sarebbe un po’ più facile da realizzare, meno utopistica anche con venticinque alunni.
Decentrare per riacquisire centralità
Molti però non sono disposti a mollare il proprio trono, forse scambiato per autorevolezza e invece solo simbolo di autorità. Pensano a eccentricità di colleghi che vogliono proporre sempre didattica innovativa. Continuavano i CCCP nello stesso testo sopra citato La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere (…) e allora la guerra tra adulti dimentica che l’insegnante è un servo al servizio dell’umanità.
Il suo compito è quello di scomparire per far emergere il potenziale umano, per dare voce e spazio a chi ha cose più importanti da raccontare e soprattutto è disposto a farlo con più entusiasmo e meraviglia. A noi il compito di agire in silenzio, di predisporre, di stimolare, di dare degli input. E soprattutto di osservare, osservare con pazienza e precisione.
È vero, la risposta è parlare sottovoce in classe, non stare “in cattedra”, avvicinarsi.
Usare i consigli di classe come veri confronti, collegiali, aperti e ricchi di osservazioni, riflessioni, scambi, non come sfoghi delle proprie frustrazioni personali o come “lamentifici”.
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Ecco un altro tasto dolente e molto importante da evidenziare: i consigli di classe e la collegialità. Lavorare uniti e in sintonia è tutto perchè i ragazzi che abbiamo di fronte sono la nostra cartina tornasole e tutto ciò che diamo rimandano indietro.
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Proprio questa mattina ho trattato un argomento di grammatica italiana col bimbo che seguo in potenziamento, ed è stato affrontato….giocando.
Poi “abbiamo dovuto” lavorare sul libro di testo da richiesta dell’insegnante.
Al termine gli ho chiesto se aveva compreso la lezione e lui mi ha risposto : “Ma maestra, avevo già capito tutto quando giocavamo !!!”
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È incredibile come i bambini apprendano con facilità basta utilizzare la maniera a loro più prossima. Porsi al loro livello, che non è un livello più basso, ma semplicemente un altro. E forse alle volte più profondo del nostro.
E poi non è più divertente anche per noi giocare ?!?!
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