Bilancio a tre mesi di aspettativa dal lavoro: ogni giorno è una scoperta

Sono passati quasi tre mesi da quando ho deciso di prendermi una pausa dal lavoro, stanno arrivando le vacanze di Natale e anche il 2018 si sta concludendo: è ora di fare dei bilanci. Sicuramente questi tre mesi non sono stati facili, alle volte avevo proprio la sensazione di trovarmi sulle montagne russe, con dei picchi di felicità per aver sfiorato la sensazione di libertà e successiva ridiscesa all’inferno quando l’euforia si trasformava in incertezza.

La cosa più bella che ho fatto in questi novanta giorni e che spero di continuare a fare, è scoprire me stessa. Ogni giorno una piccola parte di me, una qualità, una asperità, una contraddizione. E man mano che mi avvicino al centro, al mio essere, mi sento come più piena, solida, stabile. Staccare dalla nostra routine quotidiana, dal nostro solito essere, è una cosa che dovremmo fare tutti almeno una volta nella vita. Per chiederci se siamo felici.

E l’unica strada che porta alla felicità è quella del rispetto, rivolgere una delicata attenzione al proprio essere e non tradirlo è l’unico modo per estirpare il male. I compromessi prima o poi non reggono. Non si può realizzare qualcosa di verosimile, bisogna impegnarsi e cercare di realizzare l’impossibile. Solo così l’infelicità diventerà creativa e si potrà insegnare a gestire le frustrazioni.

Le mie nuove giornate dopo dieci anni di lavoro

Le mie giornate quest’anno sono completamente diverse dalle mie giornate degli ultimi dieci anni: non è che siano più libere da impegni, perché crescere una bambina di due anni comporta un impegno costante. È l’età dello scontro, dei no, del provare a capire fin dove può spingersi il proprio comportamento. Qualcuno li chiama terrible two, ma è terribile come definizione.

Uscire di casa è quasi una tragedia, vestirsi non ne parliamo. Super Zoe vuole fare tutto da sola e con tempi biblici. Beati i bambini che non sanno cosa sia l’orologio, che mangiano quando hanno fame, che si vestono quando hanno voglia. Invece noi li ingabbiamo in ore da sessanta minuti scandite dal suono della campanella. In questi tre mesi non mi sono ancora rassegnata all’idea. Ci deve essere un’alternativa possibile.

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Dovremo cominciare veramente a guardare con serietà al mondo dei bambini. Scendere dal piedistallo e arrivare al loro livello, che fisicamente magari è più basso, ma che mondo diverso scopriremo! Invece cerchiamo sempre di educare loro ai nostri ritmi e loro non possono che farlo, protestando in modo più o meno visibile, perché dotati di una grande adattabilità, di un cervello plasmabile.

Le mie giornate non sono frenetiche e stressanti come negli ultimi dieci anni. Non sono più fatte di urla e richiami, di pomeriggi di correzioni e sere a preparare lezioni. Anche se ogni tanto un urlo me lo strappa anche Super Zoe. Ora le mie giornate sono fatte di ricerca, ricerca di quella strada che porterà al rispetto di me stessa e da donare agli altri. In primis i bambini, la cosa più preziosa che abbiamo in dono. E con essa l’educazione, l’unica via che ci permetterà di cambiare il mondo. Non l’ho ancora trovata quella strada, ma ho fatto tante esperienze che hanno fatto si che ne scorgessi l’inizio.

 

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